Albero della nascita e a lui era dedicato il primo giorno dell’anno.
“Quando gli uomini vivevano con la natura, nel tempo dell’anno che il Sole ritornava a salire nel cielo, sentivano di dover festeggiare il grande avvenimento adornando un abete nella foresta e, nella radura luminosa, con danze e canti si rallegravano nel cuore. Poi, dal Paese dove il mare non gelava mai, un giorno arrivarono alcuni uomini ad annunciare la grande novella: era nato Uno che portava la luce. La luce dentro di noi, non fuori di noi. Così per festeggiare quest’Uomo unirono la sua nascita alla festa del Sole”.
Così, nel suo appassionato omaggio al “Popolo degli Alberi”, Mario Rigoni Stern ci racconta in maniera poetica come, forse, è nata l’unione tra le credenze relative all’abete rosso, esistenti nelle popolazioni del Nord Europa, e i riti cristiani legati alla nascita di Gesù.
Presso i popoli celtici, l’abete rosso (Picea abies) era infatti considerato “l’albero della nascita” e riservato al primo giorno dell’anno, il giorno in più del solstizio d’inverno nel Calendario degli alberi: quello della nascita del Bambino Divino, cioè del Sole, che presumibilmente i cristiani identificarono con Cristo, collocandone la nascita nella notte tra il 24 e il 25 dicembre.
È così che, probabilmente, l’abete rosso è diventato il nostro “albero di Natale”, anche se nei, paesi latini, la tradizione dell’abete natalizio, è arrivata molto tardi.
Soltanto nel 1840, pare, la principessa tedesca Elena di Mecklenburg, sposa del duca di Orléans, figlio di Luigi Filippo, portò l’albero di Natale alla corte di Francia presso le Tuileries, provocando la sorpresa generale.
Da questo momento in poi, l’uso di decorare per Natale l’abete rosso si è diffuso a poco a poco anche negli altri paesi latini, a simboleggiare la nascita del Cristo, anzi a trasformarsi in un simbolo del Cristo come Albero della vita, per una curiosa analogia con le tradizioni nord europee.
Questo maestoso albero, che può superare agevolmente i 30 metri di altezza, caratterizza le foreste alpine, rivestendo le montagne tra gli ottocento e i duemila metri.
La corteccia è rossastra, a piccole squame e invecchiando si fessura e si dispone a placche. Le foglie aghiformi, lunghe due-tre centimetri sono disposte tutt’intorno ai ramuli.
Gli strobili sono penduli, lunghi anche venti centimetri e cadono al suolo prima di aprirsi.
Bibliografia: “Arboreto salvatico”, Mario Rigoni Stern, Einaudi, 1991 – “Storie e leggende degli alberi”, Jaques Brosse, Edizioni Studio Tesi, 1987 – “Florario – Miti, leggende e simboli di fiori e piante” , Alfredo Cattabiani, Mondadori, 1996 – “Riconoscere gli alberi”, Roger Phillips, Istituto Geografico De Agostini, 1983
Foto: Roberto Bacchilega